«Trent'anni fa eravamo paghisti, o come dice un collega di Roma bustapagaioli. Tra noi ci si presentava con il numero di cedolini compilati. Mille, novecento, duemila, tremila. E via al rialzo. Oggi, il nostro lavoro è fatto più di consulenza».
Mentre ripercorre la sua carriera, Claudio Baldassari, 59 anni, consulente del lavoro a Mantova, rivendica con orgoglio le radici della professione: la busta paga. Non si prescinde da lì, dal fatto di dare evidenza in maniera corretta a inquadramento, ferie, permessi congedi, orari. È il concreto su cui si fonda tutto, anche la consulenza: «Il cliente viene da me quando deve risolvere un guaio, altrimenti si rivolge all'impiegata. Siamo uno studio di 25 persone, di cui tre professionisti. Con il filtro di questa struttura sulla mia scrivania precipitano solo i problemi».
Altra realtà, altra impostazione. Reggio Calabria, Pietro Latella, 34 anni, cerca nuovi sbocchi. «Il mio obiettivo – dice – è fare il più possibile consulenza. Il prospetto-paga sono in tanti a elaborarlo, non è in questo che può affermarsi un professionista. La differenza, invece, la fa la possibilità di seguire l'imprenditore e pianificare con lui lo sviluppo del personale, la risorsa che è uno dei costi maggiori. Gran parte delle assunzioni avviene su segnalazione di conoscenti: sto cercando di far capire ai miei clienti che non sempre la persona affidabile indicata da un amico è la risposta giusta a un'esigenza dell'azienda. Non è detto che il curriculum basti per scegliere, talvolta occorre selezionare, anche attraverso colloqui successivi».
Insomma, ricerca e selezione del personale sono le attività che Latella scriverebbe sul suo biglietto da visita. Qual è la definizione di "consulente del lavoro"? «È la figura – risponde – che gestisce i dipendenti dell'azienda, con un inquadramento ottimale e che mette in atto le strategie per far fruttare quello che viene speso in retribuzione».
Privilegiare la consulenza dà frutti? La realtà di Reggio Calabria è difficile e la criminalità fa sentire il suo peso. «Devo dire che qualche imprenditore inizia a seguirmi. Quanto al contesto economico e sociale, sarebbe sciocco nascondersi dietro un dito. Però anche qui – dice Latella – c'è un'imprenditoria solida e un'imprenditoria sofferente. E la criminalità organizzata è ramificata in tutto il territorio nazionale. Io però non faccio attività fiscale e non ho modo di entrare nei pagamenti dell'azienda». In ogni caso, il consulente opera – sottolinea Latella – per la legalità. «Il mio obiettivo è essere corretto. È chiaro che i rapporti in nero non transitano dal professionista».
Pietro Latella ha aperto lo studio quattro anni fa, anche se la sua vita professionale è iniziata a 20 anni, con il praticantato fatto in contemporanea con l'università. Ha conosciuto la professione perché i genitori erano funzionari Inps e in casa ha familiarizzato con le questioni di lavoro, i contributi, i pagamenti, i modelli. «Non ho bruciato le tappe», fa osservare. «Per affermarsi nella professione occorrono pazienza e tempi piuttosto lunghi».
Nella ricerca e selezione del personale si appoggia alla Fondazione dei consulenti del lavoro che si occupa di far incontrare domanda e offerta d'impiego e che è stata autorizzata a operare in base alla riforma Biagi. Poi, cerca di tenersi al passo con le tendenze del mercato del lavoro, attraverso i corsi di formazione continua. Quanto alla documentazione, ci sono le riviste specializzate e di categoria, «ma il quotidiano non lo compro tutti i giorni». Con i colleghi c'è una rete per mettere in comune gli approfondimenti più interessanti.
Claudio Baldassari è consulente del lavoro per tradizione. «Lo era mio padre, aiutato da mia madre. Casa e studio erano un tutt'uno. Ho succhiato latte e paghe e sono cresciuto tra marche (il contrassegno per i contributi mensili) e marchette, per quelli settimanali. D'estate con la bicicletta avevo il compito di fare il giro degli uffici, dall'Inps al collocamento. L'ultima tappa era l'ispettorato del Lavoro. Poi, il forno, in piazza, per la pizza, costava 80 lire, avevo la mia paghetta».
L'esordio nella professione risale al 1977. «Tornato da 15 mesi di militare ho fatto l'esame di stato e mi è toccato un caso sull'industria del legno, un settore che conoscevo perché lo seguiva mio padre. Sono stato promosso, per fortuna. In caso di bocciatura, avrei dovuto presentarmi l'anno successivo. Spesso il giochetto era di fissare la sessione con qualche giorno di anticipo e l'effetto era di rinviare l'esame alla seconda sessione dell'anno».
Quelli erano anni di grande ottimismo per la consulenza del lavoro. È del 1979, infatti, la legge che ha istituito l'Albo e ha fissato i paletti per l'esercizio della professione, con la previsione anche del tirocinio. «Con la riforma, non avrei avuto titolo per l'abilitazione. Ho fatto il liceo scientifico: non sono né dottore né ragioniere. Sono – scandisce – un "maturo"». Baldassari ha la passione per i numeri: «Mi mancano sette anni, quattro mesi e sette giorni al trattamento di pensione», puntualizza il 18 agosto, alla proposta di essere uno dei testimoni per ripercorrere la professione di consulente del lavoro.
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